È “bulgara” forse perché creata dagli 007 di quel Paese. Ed è responsabile del boom di effrazioni in tutta Italia.
Premessa. Questo non è un tractatus sulla «chiave bulgara» – nata, secondo una leggenda, nelle menti perverse degli 007 bulgari ai tempi della Guerra fredda per introdursi in ambasciate o case del «nemico» – e ora l’attrezzo preferito dai ladri che la usano per aprire le serrature delle nostre case, anche porte blindate con pesanti chiavi a doppia mandata, tuttora molto diffuse in Italia e pure a Torino. Vecchie tecnologie di venti, trent’anni fa o più. Sarà solo una piccola guida per tentare almeno di prevenire i diabolici «furti senza scasso», ormai una piaga sociale.
Te ne accorgi solo dopo. Sei un tipo regolare e, quando esci, dai sempre le quattro mandate standard? Bene. Quando torni, inserita nella toppa la chiave d’acciaio lunga e con tutti i suoi «denti» nella parte finale, più corti o no, distanziati un tot l’uno dall’altro, sentirai il suono metallico rassicurante dei cilindri della blindata che si ritirano uno dopo l’altro. Apri e resti sotto choc: la casa è a soqquadro, i ladri hanno lavorato con calma. Ti hanno preso i computer, i gioielli, i contanti («Salvo le poche banconote nascoste in un libro, quelle non le hanno trovate», sospira una delle ultime vittime torinesi); i piccoli elettrodomestici, il phon, il forno a micro-onde, persino un vecchio cellulare dimenticato in un cassetto.
Poi hanno svuotato il frigo per uno spuntino al volo e aperto un paio di bottiglie di buon vino per festeggiare. Con i coltelli, hanno sventrato i divani e tagliato i materassi, semmai tu li avessi usati come nascondiglio per i valori. Si sono presi i vestiti e le borse firmate, quelle vere, di tua moglie e poi via, indisturbati, non prima di chiudere diligentemente a chiave la blindata. Quattro mandate. Appunto.
Non tutte le assicurazioni pagano il danno subito, visto che non ci sono segni di effrazione. La beffa finale. Questa è la sintesi di una delle tante e ultimissime testimonianze delle vittime della «chiave bulgara» che, utilizzata dalle gang specializzate, in genere composte da uomini dell’Est Europa, è la causa di centinaia di colpi, specie nelle metropoli del Nord.
Gli esperti di sicurezza spiegano che l’unica strada è dotarsi di serrature di ultima generazione, dotate di chiavi piatte e tracciate in modo che – ma solo per ora – i ladri non riescano a replicarle senza avere l’originale in mano. Stanno studiando come fare e c’è da scommettere che ci riusciranno molto presto. Ma le vecchie chiavi a doppia mandata proteggono ancora (si fa per dire) almeno il 70% delle case italiane, dove i sistemi di sicurezza attiva, allarmi e videocamere, sono percentualmente pochi o antiquati.
Cos’è la chiave bulgara? C’è gente che ha aperto siti web dedicati per descriverla in ogni minimo dettaglio, in tutte le varianti, creando un dibattito acceso sulle varie tecniche usate dai ladri per realizzarle. Proviamo a semplificare. Una volta individuato il target, la serratura viene esaminata. Bastano pochi minuti e una valigetta-kit con una serie di grimaldelli-chiavistelli di varie misure. All’interno viene inserita la cosiddetta «chiave morbida» in grado di leggere i codici della serratura, da sovrapporre poi a un secondo attrezzo, ruotandola lentamente da destra a sinistra. Il gioco è fatto. Basta tornare alla base e, con un piccolo tornio, si crea la chiave-master, perfetta quasi al millimetro. Dicono che ne esisterebbe anche una versione elettronica per le porte blindate di dimensioni più grandi, con i «pistoncini-spia» azionati da un telecomando. In questo modo la mappatura della blindata da violare sarà identica al tracciato originale.
Questo sistema viene usato per alcuni tipi di cassaforte, anche se in quel caso il lavoro è di gran lunga più complesso. In un elegante alloggio del centro di Torino sono entrati, hanno rubato solo un paio di quadri di pittori noti, dall’alto valore, e se ne sono andati senza provocare danni. Chiudendosi dolcemente la porta alle spalle. Gli allarmi? Inerti. Ma questo è un altro mistero.
FONTE: LA STAMPA
Leave a Comment